Negli ultimi anni la parola resilienza è andata molto di moda: è circolata nelle nostre aule di formazione, nelle sessioni di Coaching, negli incontri dei team in azienda.
Mai come in questo periodo avremmo dovuto dimostrare di aver imparato cosa significa essere resilienti.
E invece la maggior parte delle persone ha manifestato scarsa capacità di fronteggiare lo stress o, nel migliore dei casi, ha dimostrato di saper resistere (forse solo esistere).
Tranne loro, i ragazzi, quelli che vanno ancora a scuola, alle medie o alle superiori, quelli abbastanza grandi da comprendere la situazione, ma ignorati da quasi tutte le misure e dalle conferenze stampa. Loro sì si sono dimostrati resilienti.
Mia figlia a giugno compirà quattordici anni, frequenta la terza media e ha cominciato l’anno scolastico piena di entusiasmo e anche di malinconia.
Di entusiasmo per l’avventura che l’aspettava: la gita scolastica di terza a fare canoa nel Lazio, l’esame da preparare, quello per il quale ad ottobre ha cominciato a raccogliere materiali in un quadernone selezionato ad hoc, la scelta del liceo e quel fremito quando è arrivata la comunicazione che era stata ammessa a quello che sognava di frequentare.
Di malinconia, perchè avrebbe lasciato la classe con cui in questi anni ha creato un bellissimo rapporto e anche quegli insegnanti che sono stati per lei un punto di riferimento importante.
Mia figlia fa parte di una squadra di nuoto sincronizzato. Una squadra che si è costruita come gruppo coeso negli anni, che ha ritrovato armonia dopo vicissitudini societarie che le atlete hanno dovuto subire senza poter fare nulla; una squadra che è un gruppo di amiche, che, se non fosse per noi genitori che le sollecitiamo, rimarrebbero ore in spogliatoio dopo l’allenamento, a farsi i selfie, a cantare sotto la doccia, a ragionare su come migliorare una coreografia. Alla prima gara della stagione sono arrivate quarte per un soffio ed erano pronte a lavorare sodo per avere la loro rivincita all’impegno successivo.
Poi è arrivato il lockdown.
Niente aula, niente amici, niente cloro, niente di niente.
Solo i genitori (ve lo ricordate cosa voleva dire da adolescenti dover passare tutto il tempo con i vostri genitori?), le poche lezioni on line e le videochiamate.
Quelle videochiamate per cui noi adulti abbiamo brontolato più di una volta prima della quarantena e che ora sono diventate una salvezza per tutti.
Eppure da mia figlia, dopo un po’ di delusione iniziale, non ho più sentito lamentele, proteste, desiderio di trasgressione.
Ogni giorno l’ho vista studiare, programmare gli impegni, chiamare le amiche per fare insieme i compiti, allenarsi per almeno un’ora (di cui tre volte alla settimana in chat con le compagne di squadra), ballare seguendo i video di TikTok, sorridere. Senza bisogno che qualcuno le dicesse cosa fare o come.
Ogni giorno ha videochiamato mia mamma, a casa della quale, nella vita di prima, trascorreva la maggior parte dei pomeriggi semi muta, chiusa nello studio e discutendo solo per ribadire il suo diritto ad avere propri spazi mentali e fisici.
L’ha chiamata ogni giorno, a volte per tre ore, chiacchierando, improvvisando sessioni di make up, raccontando le lezioni.
Ha tirato fuori le sue risorse interne ed esterne e, mentre il mondo stava fermo è andata avanti.
Ha usato la situazione per crescere e per comprendere; da sola ha riflettuto sull’importanza del rispetto delle regole, ma soprattutto ha dato prova di quell’empatia che è una risorsa fondamentale per essere davvero resilienti.
La settimana scorsa a scuola le hanno proposto un compito: scrivere un testo argomentativo sul tema, che vi riassumo: ” L’esame conclusivo di questo ciclo di studi è stato annullato e sostituito da una tesina interdisciplinare. Non è ben chiaro se questa tesina sarà esposta o solo consegnata. E qui su questo punto ci si è divisi: alcuni sostengono che sia giusto evitare l’orale.Altri invece sostengono che dopo quello che abbiamo passato e le difficoltà di questi mesi, privare i ragazzi dell’esposizione orale del loro lavoro è ingiusto. Dopo aver riflettuto, fatti una tua opinione e difendila in un testo.”
Questo è il testo scritto da mia figlia:
Dal mio punto di vista non è giusto privare né alunni né insegnanti di un esame orale o comunque, di un’esposizione orale tramite didattica a distanza della propria tesina.
Quest’anno è andato avanti in un modo inaspettato da tutti, privando gli insegnati della parte umana del proprio lavoro, cioè quella di stare a contatto con i propri alunni, e gli alunni del contatto con compagni ed insegnanti e con i metodi di studio a cui sono sempre stati abituati fin dalla scuola primaria.
Secondo me è quindi giusto ridare un minimo di contatto alunni-insegnanti almeno nell’ambito dell’esame.
Da alunna, in prima persona, posso confermare quanto sia difficile anche solo trovare la voglia di studiare, quando si è soli, chiusi in casa e ci si ritrova a dover studiare da audio o video tutorial, quando, fino ad un mese prima, ci si trovava assieme in un’aula sì rumorosa, ma con un’atmosfera di casa, di qualcosa che si conosce bene e dove alla fine, malgrado litigi, verifiche e pianti, ci si sente bene.
Non oso quindi nemmeno immaginare quanto sia difficile per un’insegnante, abituato ad avere davanti ogni giorno una classe da ventisette alunni (nel caso della mia, anche abbastanza scalmanati), passare dall’interagire tramite domande, ogni tanto una battuta e spesso rimproveri, allo spiegare online, tramite app di videochat, guardando fisso un monitor nero, con al centro le icone di profilo degli alunni; non sapendo se sono realmente presenti, attenti, se sono interessati o meno, e appunto senza vederli in faccia con cam chiuse per non appesantire la linea e microfoni disattivati per non avere rumore in sottofondo. Spesso può sembrare di parlare al nulla no?
A questo punto penso che l’unico modo per ridare, forse, un poco di normalità a tutta questa situazione sia almeno quello di poter esporre la propria tesina, di spiegare il perché di una scelta, il proprio parere, guardando i propri insegnanti in faccia anche solo per mezz’ora; perché gli insegnanti, che ci stanno antipatici quando ci danno un brutto voto e quando ci rimproverano, sono gli stessi con cui abbiamo passato tre anni della nostra vita, che si sono sempre preoccupati per noi, preoccupati di spiegarci al meglio le loro materie per garantirci una buona base di conoscenze per il nostro futuro. E che nel mio caso ci sono sempre stati se avevo bisogno di un consiglio.
Allora sì, ognuno può avere il proprio parere, può dire che l’alunno in videochat può copiare, avere un suggeritore o imbrogliare in qualche modo, ma, comunque, è una propria responsabilità decidere di studiare ed impegnarsi per raggiungere buoni risultati oppure imbrogliare e sapere che i risultati che otterrai non li hai ottenuti per merito tuo.
In conclusione, per me, alla fine della storia gira tutto attorno al rispetto, di se stessi e degli insegnanti che si impegnano per noi, ed è quindi giusto dargli delle soddisfazioni che posso anche banalmente essere sentire la buona esposizione di una tesina che senza il loro aiuto non avremmo mai potuto scrivere.”
Mia figlia è il mio eroe.